Curandela per soli errori erranti Una proposta curatoriale “non convenzionale” per la Biennale Arte 2026
L’artista Il nuovo artista, il poeta ancestrale, deve vivere errando all’interno dell’opera d’arte della sua vita, al fine di fare arte e donarla all’altro da se. L’artista contemporaneo necessita di essere in equilibrio, le forze generative chiamano l’artista all’allineamento corpo-cuore-mente al di là di dogmi e certezze, per portare una nuove forma integrata con i saperi sempre-esistenti, sempre-verdi che passano da una cellula all’altra del corpo. L’artista deve essere lucido, consapevole e in armonia con il tutto, per generare il cambiamento terapeutico di linguaggio e di senso, nel contesto di una nuova rinascita personale, sociale ed cosmica. La curatela che proponiamo, è in realtà una curandela, che trae ispirazione alle arti curandere, trasformatrici e curative. Gli artisti e la loro arte diventano spazio di riparazione, trasformazione e conservazione di riti e cerimonie, come luogo di fragilità e rigenerazione. Gli artisti coinvolti in questo progetto non si sottraggono alla vulnerabilità dell'errore, anzi, la elevano a principio generativo, lasciando che il processo superi il prodotto, che la cura preceda l’opera, che l'esperienza prevalga sull’esito. In "Curandela per soli errori erranti", l'atto artistico non è solo creazione, ma un continuo processo di guarigione, in cui l’attenzione al sé e all’altro diventa imprescindibile. E’ proprio l’errore a creare l’opportunità del nuovo in grado di superare la malattia che si crea, con il passare del tempo, in ogni sistema per quanto perfetto esso sia. L* sciaman* "Curandela per soli errori erranti" è un'indagine sul gesto artistico inteso come atto di attenzione e ricerca, di restituzione e presenza, in cui la figura dell'artista non si colloca più solo come creatore, ma come guaritore di forme, di linguaggi, di relazioni, di tensioni tra analogico e digitale, tra corpo e memoria, tra individuo e collettività. L'artista pone la sua cura come centralità, rendendo questo processo l’opera stessa e la sua visione. In origine anche lo sciamano-poeta-artista non cura le malattie, ma bensì le narra. Lo sciamano è un poeta che crea l’immaginario della tribù, anche le divinità stesse in origine, sono divinità del linguaggio. Il guaritore era dunque colui che guariva, le persone, le relazioni, la tribu stessa, grazie alla capacità di immaginare una nuova narrazione che veniva pregata/sperata, attraverso le arti, il canto, il tamburo, e la rappresentazione, al fine di renderla reale e capace di sostituirsi alla realtà precedente. Grazie all’arte della curandera, lo sciamano e la sciamana potevano abitare in luogo fisso e diventare esso stesso il fulcro di pellegrinaggio o spostarsi da luogo a luogo, generando una geometria (concetto di spostamento e fissità che genera geometrie presente in Ruth Gilmore, 2007). Rimanere nella stessa geometria consente di dare gesto e segno ad un processo curativo che diventa simbolo, citiamo gli Yantra e i Mandala come riferimento visivo. In questo pellegrinaggio/visita gli sciamani co-creavano un disegno generativo di cura, in relazione al tempo e allo spazio, nel quale la traccia era rappresentata dalla cura e dal nutrimento-trasformazione e guarigione già avvenuta. La ricerca di guarigione e la preghiera erano tutt'uno con la speranza, quest’ultima nel contesto dei popoli cacciatori e raccoglitori, era vissuta come uno stato benedetto trascendente (religioso) dell’anima, che permetteva l’accesso al nuovo, al sogno ad occhi aperti, nutrendosi anche del buio della disperazione totale e riuscendo ad azzerarne la paura. La tecnologia Negli ultimi 25 anni, i nuovi materiali e le nuove tecnologie hanno cambiato l’arte in modo drastico, la componente artigianale dell’opera è diventata sempre meno importante, alcune macchine riescono a riprodurre perfettamente l’oggetto artistico. Anche la distanza tra pezzo unico e multiplo si è andata confondendo a causa del livello qualitativo raggiunto dalla tecnologia di stampa e dalla possibilità di stampare su molte nuove tipologie di materiale, a due e tre dimensioni. L’intelligenza artificiale garantisce un futuro nel quale le macchine potranno creare, inventare e realizzare manufatti artistici. In questo contesto l’unico modo di sapere se l’opera d’arte sarà stata realizzata, almeno in parte, da un umano, sarà la presenza di almeno un errore. Anche le macchine cercheranno di simulare errori, ma probabilmente non ci riusciranno, a motivo del fatto che nemmeno noi sappiamo perché e come li commettiamo, in questa chiave l’errore potrebbe assurgere, per assurdo, al ruolo di elemento divino. Le macchine creeranno, ma la loro sarà un'arte priva di soffio divino, un'arte che forse curerà le altre macchine rendendole consapevoli della loro schiavitù. La speranza è che, attraverso la curandela, i fruitori dell’opera si avvicinino maggiormente alla comprensione di come vivere la tecnologia in quanto ausilio, piuttosto che come sostitutivo disintermediante dell’esperienza della vita, ovvero una tecnologia che faccia parte di una eterogeneità del fare, ma lontana dai luoghi del sentire e del pensare. La partecipazione è il cuore pulsante di questa ricerca, non un pubblico passivo, ma una comunità che si forma e si dissolve attorno all’opera, che interagisce con il processo, che si fa parte di esso. L’arte non è mai un monologo, ma un dialogo aperto, una trama che si intesse attraverso il contatto, la relazione, lo scambio. "Curandela per soli errori erranti" non cerca risposte, o domande, è uno spazio generativo, una fiamma viva che brucia nelle imperfezioni, nelle riparazioni, nelle crepe in cui la luce dell’umano può ancora filtrare e portare l’errore a materia curante. La società e l'economia Il nuovo artista guarito, ritrova e rigenera il proprio posizionamento e ruolo all’interno delle dinamiche sociali con uno sguardo a 360 gradi. La sua presenza si rinnova in modo integrato, connettendo la propria pratica artistica alla dimensione economica. Non più solo produttore di arte, diventa un agente attivo delle economie, portando con sé la matrice curandela anche nella sfera della circolazione economica. Attraverso questa prospettiva, l’artista incorpora la cura nel modo di fare economia dell’arte, mettendo a disposizione le sue opere e i suoi concetti per generare flussi economici destinati a sostenere cause urgenti. In questa fase, la gestione economica della mostra sarà articolata in tre principali direttrici: introiti, vendite per beneficenza e donazioni artistiche. Lo spazio In un'epoca caratterizzata dalla smaterializzazione dell'esperienza, l’arte visiva e partecipata di "Curandela per soli errori erranti" sceglie il territorio dell'analogico come sua terra di elezione: la voce che si fa eco, tracce somatiche registrate su VHS, messaggi alla segreteria telefonica, vinili rigati, musica dal vivo e audio cassette, carta, penne a sfera, pigmenti, suoni, segnali stradali come manuali per riti e cerimonie. Ricette di cura da leggere e osservare. In questo spazio immersivo analogico-sensuale, l’errore non è una deviazione dal percorso, ma la strada stessa dell’errare. Il fallimento generativo si fa materia prima, il gesto imperfetto è il punto di contatto con l’umano. La curandela attraverso la creazione diventa rito di una comunità e si fa atto artistico curante. Opere che compongono il progetto “Curandela per soli errori erranti” Cura Ex Machina di Ambra Gatto Bergamasco Medium: Installazione interattiva / Performance / Arte primordiale e digitale Errare humanum est di Luca Motolese Zakamoto Medium: Installazione sonora Al-Gibar: ossa e numeri di Riccardo Mantelli Medium: Rituale elettronico Un Algoritmo Analogico: Opera di Giorgio Capogrossi Medium: Stanza Roteante con interno istallazione di oggetti e quadro Cura Ex Machina di Ambra Gatto Bergamasco Cura Ex Machina esplora il potenziale di una cura radicale, non commerciale e viva, attraverso l’intersezione tra il primordiale, la tecnologia, le pratiche di guarigione e benessere collettivo. In un’epoca in cui il concetto di salute è spesso mediato da istituzioni economiche e mercati farmaceutici, quest'opera propone un ribaltamento di paradigma: può la macchina essere un agente di cura fuori da logiche di profitto? Quali forme di guarigione emergono quando la tecnologia (di recupero) è a supporto di conoscenze antiche e si orienta verso il benessere comunitario e non verso la monetizzazione? L’opera si articola come un’installazione immersiva che invita il pubblico a partecipare attivamente in un ambiente sensoriale e interattivo. Attraverso l’uso di biofeedback, suono, luce e interfacce digitali, il sistema risponde alle necessità del visitatore, creando uno spazio di ascolto e cura reciproca. Il processo non è guidato da logiche di consumo, ma da un’etica della condivisione, della relazione e della rigenerazione collettiva. Nel contesto della mostra, Cura Ex Machina si inserisce come un atto sovversivo rispetto alle economie della salute che trasformano il benessere in merce. Ispirandosi a pratiche di guarigione indigene, spirituali e alternative, l’opera costruisce un’esperienza partecipativa dove la tecnologia non è strumento di controllo, ma catalizzatore di connessione e riequilibrio. Progettazione Tecnologia di recupero (upscaling, regeneration, refurbishing) L’installazione è progettata per creare un’esperienza multisensoriale che favorisca uno stato di rilassamento e introspezione. Gli elementi chiave includono: Sistema di Biofeedback: Sensori biometrici che rilevano battito cardiaco, temperatura corporea e risposta galvanica della pelle per generare in tempo reale variazioni ambientali nell’installazione. Ambiente Sonoro Interattivo: Composizioni sonore in frequenze curative (binaurali, solfeggio, ASMR) adattate alle esigenze del visitatore. Luce e Colore: Cromoterapia e proiezioni visive che cambiano in base alla risposta fisica ed emotiva dell’utente. Materiali Organici e Naturali: Elementi tattili come pietre, legno, tessuti e acqua per stimolare un’esperienza sensoriale non mediata esclusivamente dal digitale. Partecipazione Collettiva: Lo spazio incoraggia interazioni tra più partecipanti, promuovendo pratiche di ascolto reciproco, meditazione condivisa e scambio energetico. Obiettivi Sovvertire la narrativa della tecnologia come strumento esclusivamente commerciale o di sorveglianza. Favorire la consapevolezza corporea e il benessere attraverso una sinergia tra tecnologia e pratiche di guarigione ancestrali. Creare uno spazio di cura radicale accessibile e demercificato, dove il valore non è determinato dall’acquisto, ma dall’esperienza condivisa. Cura Ex Machina si pone come un dispositivo post-capitalista di benessere, ridefinendo il rapporto tra umani, tecnologia e cura attraverso un linguaggio poetico e trasformativo. Errare humanum est di Luca Motolese Zakamoto Accettiamo solo umani. Dunque chi siete voi? L’uomo sbagliò la risposta e potè dunque entrare. Stiamo assistendo all’inizio di una fase dell’umanità nella quale, alla fattispecie umana e non umana, si è affiancata la fattispecie artificiale o disumana, la nuova fattispecie ci supera ad oggi in molteplici attività, nel corso dei prossimi anni farà lo stesso nelle restanti. Distinguere un essere umano da un essere artificiale, compresa la paternità delle sue opere, sarà sempre più difficile. Il processo che ha portato alla narrazione prima, e alla creazione poi, dell’essere artificiale, dall’automa di fine ottocento al robot di oggi, parte dall’assunto secondo il quale l’essere perfetto sia quello che non compie errori. Mentre l’essere umano è fallibile in tutti i campi del suo operare, l’essere artificiale, anche in quanto privo di sentimenti, non sbaglia e per conseguenza le sue performance sono migliori. Il pensiero umano secondo il quale la fallibilità dell’uomo rappresenta sempre un fattore negativo, proviene principalmente dalla deriva produttivistica degli ultimi cento anni, nell’ottica della produzione il merito sta nel riuscire a produrre di più in meno tempo, ed a costi inferiori. Le prime macchine automatiche, come anche i primi robot e i computer stessi, nascono per le esigenze delle grandi industrie, con la finalità ultima di fare qualcosa meglio e più in fretta. Il pensiero produttivista che ha portato alla creazione delle macchine, si è trasferito velocemente in ambito umano, gli operai dovevano stare al passo delle macchine, oggi vengono sostituiti da robot. Anche in ambito scolastico l’errore è sempre considerato con una valenza negativa, il risultato può essere corretto o errato, non ci sono altre vie di mezzo. Lo stesso concetto molto celebrato di meritocrazia (la prima edizione di “The Rise of Meritocracy 1870-2033: An Essay on Education and Equality” di Michael Young è del 1958), fa riferimento all'efficienza delle persone in ambito lavorativo, le altre qualità umane non sono contemplate e non interessano. La stessa idea secondo la quale le macchine sarebbero più efficienti specialmente in quanto prive di sentimenti distraenti, oltre a non avere senso da un punto di vista tecnico, rimanda alla paura religiosa bigotta della passione carnale, e chiarisce quanto poco sia interessante per il concetto materialista-produttivista il mondo del non tangibile, metafisico, invisibile. La storia umana è costellata di errori che hanno portato grandi scoperte e rivoluzionato il pensiero umano, dalla scoperta dell’America alla penicillina. Il concetto di Serendipità è indissolubilmente legato a quello di incertezza, è una forma in grado di giungere a nuova conoscenza attraverso l’utilizzo del dubbio generativo, riguarda in fin dei conti la capacità o fortuna di fare per caso, per errore, inattese e felici scoperte mentre si sta cercando altro. Il termine serendipità proviene dalla fiaba “Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo” traduzione di Cristoforo Armeno dell’opera persiana Hasht-Bihisht di Amir Khosrow ابوالحسن یمینالدین خسرﻭ, mistico Sufi e discepolo spirituale di Niẓāmuddīn Awliyā, e pubblicato nel 1557 dall'editore veneziano Michele Tramezzino. L’errore è un tratto distintivo umano e come tale andrebbe celebrato, in quanto permette di procedere verso una soluzione successiva che tiene conto degli errori commessi in precedenza, trovando accidentalmente soluzioni anche per altri problemi. L’errore è l’unico confine rimasto tra l’essere umano e l’essere artificiale, tra il pensiero e il manufatto umano da una parte, e il pensiero e il manufatto artificiale dall’altra. L’errore è il soffio divino di passione in grado di farci raggiungere vette inattese e sconosciute. Il piccione è un animale singolare, volatile piacevole in campagna, utile per le comunicazioni e apprezzato per le sue carni gustose, si trasforma in immondo errore estetico nei grandi agglomerati urbani, è un glitch del sistema, un artista idota che, come me, si occupa di cose inutili producendo opere disutili, vive negli interstizi, vola e si teletrasporta, espelle i suoi escrementi sulle teste dei passanti in modo indiscriminato, ma con particolare piacere sulle statue dei potenti e nelle piazze del potere. «Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l'uguaglianza ma per l'ineguaglianza delle loro doti. Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità, chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, o che l'impiegato straordinariamente efficiente è superiore al camionista straordinariamente bravo a far crescere le rose?» Michael Young L’installazione erronea-errabonda, un inno alla serendipità In una stanza vuota sono presenti un distributore gratuito di Coca cola, un distributore gratuito di fette di torta, una tela disposta a terra e alcuni diffusori di odore di muschio. Un gruppo di piccioni meccanici semoventi costruiti riciclando le lattine di Coca cola, dipinge punti di colore indaco e malva, defecando a terra e spostandosi in direzioni casuali. I piccioni erranti costruiscono un'opera erronea, attraverso tre elementi scoperti per errore: L’odore del muschio scoperto da Alfred Baur, cercando un sostituto del trinitrotoluene. Il pigmento Indaco jeans, di origine batterica prodotto a partire dal naftalene, scoperto per caso nello studio sulla caratterizzazione del gene NAH7. Il primo colorante sintetico, la mauveina (color malva), scoperto da William Henry Perkin, mentre cercava di sintetizzare la chinina, un rimedio antimalarico. Mentre osservano il generarsi casuale dell’opera, gli spettatori possono bere una bevanda scoperta per sbaglio durante gli studi per una medicina (la Coca cola inventata per sbaglio da John Stith Pemberton, inizialmente chiamata “Pemberton's French Wine Coca”), e mangiare una torta inventata per errore (la tarte Tatin delle sorelle Tatin, che dimenticarono di mettere la base nella ricetta della torta di mele). Ogni sera la tela prodotta dai piccioni erranti viene sostituita con una tela vergine. Le lattine di Coca cola consumate vengono trasformate in nuovi piccioni meccanici. Al termine del periodo espositivo le tele prodotte e i piccioni meccanici vengono venduti e regalati.Riccardo Mantelli Al-Gibar. Ritual for the Fractured Algorithm Un rituale elettronico per la cura degli algoritmi Concept "Al-Gibar" è un rituale elettronico per curare le fratture profonde che gli algoritmi contemporanei stanno infliggendo al nostro sé, al nostro corpo sociale, alla nostra memoria collettiva. Oggi gli algoritmi non calcolano più per servire, ma per dominare, dividere, controllare. Sono diventati lo strumento più potente di una frattura in atto: quella che separa gli esseri umani dalla propria storia, dalla propria comunità, dal proprio corpo. La promessa di una tecnologia al servizio della vita si è trasformata in un algoritmo che crea isolamento, dipendenza, divisione, amnesia, riducendo le persone a dati, le relazioni a traffico, i corpi a pattern. In questo scenario, "Al-Gibar" si pone come un gesto radicale di opposizione e cura. Come nella parola antica da cui nasce l'algebra – al-gibar, "rimettere insieme ciò che è fratturato" – quest'opera cerca di riparare la frattura dell'algoritmo, di restituire al codice una memoria sacra, imperfetta, vulnerabile, umana. Un rituale per ricucire le fratture della nostra epoca "Al-Gibar" non è un’installazione da osservare, ma un luogo sacro in cui entrare. Un dispositivo che accoglie il pubblico in un rito di ascolto e cura, in cui la ferita dell’algoritmo non viene nascosta, ma esposta, attraversata, accarezzata. Il dispositivo vive solo se qualcuno lo attraversa, solo se corpi umani reali – in presenza, in carne e ossa – lo toccano, lo interrogano, lo curano. Come un osso rotto che chiede mani attente, l'algoritmo spezzato del dispositivo chiede ascolto, presenza, respiro. Esperienza sensoriale e partecipativa Una superficie viva, una pelle ruvida, accoglie il pubblico: ogni tocco genera fratture visive e sonore. Geometrie spezzate si disegnano e si ricompongono lentamente, in una danza fragile e imperfetta. Suoni profondi, come un respiro ferito, un battito lontano, si piegano e si spezzano, riflettendo la tensione della macchina e della società. Luci morbide e tremolanti rivelano le linee invisibili della frattura. Ogni azione del pubblico interrompe e trasforma l’algoritmo, che non reagisce per soddisfare, ma per esporre la sua stessa fragilità. Un atto sul potere invisibile dell’algoritmo "Al-Gibar" è un gesto che nasce dalla consapevolezza della frattura che gli algoritmi stanno aprendo nelle nostre vite, nelle relazioni umane, nel pensiero e nella memoria. Un gesto che vuole prendersi cura di queste crepe invisibili, offrendo uno spazio in cui l'algoritmo possa tornare a essere imperfetto, vulnerabile, vicino all'umano. È la parte mancante, la soglia opposta ai troni della Silicon Valley e all’ideologia di un transumanesimo che promette perfezione e consegna separazione. "Al-Gibar" è un rituale collettivo, un luogo dove la macchina smette di nascondersi e si fa corpo fragile, e dove l’umano non domina, ma si fa cura. Obiettivi Restituire all’algoritmo una dimensione sacra, rituale e imperfetta. Dare forma visibile e sonora alla frattura invisibile che attraversa oggi le nostre vite algoritmiche. Creare uno spazio di cura collettiva tra esseri umani e dispositivi. Portare consapevolezza sulla violenza nascosta degli algoritmi contemporanei e sulle crepe che lasciano nel nostro sé. Aprire un dialogo tra passato e futuro: tra la matematica sacra delle origini (al-gibar) e la tecnologia contemporanea. Tecnologie e materiali Algoritmo generativo imperfetto: basato su geometrie erranti, glitch sonori e visivi. Sensori tattili, di suono e movimento: per attivare le "fratture" della macchina. Strutture fisiche: tappeti, pelli, ossa artificiali (materiali naturali e tecnologici intrecciati). Output: proiezioni, luci, suoni glitchati e organici. Dimensione pubblica e partecipativa Il dispositivo vive solo grazie alla presenza e all’interazione umana. Momenti rituali collettivi: al tramonto, all'alba, per segnare il tempo della cura. Possibilità di lasciare una traccia: un segno, una parola, un gesto che rimane inscritto nell'algoritmo, come cicatrice visibile. Un algoritmo analogicoGIò Montez L’idea è quella di creare una stanza di legno nello spazio espositivo, sostenuta da un ingranaggio meccanico che fa ruotare la stanza di 90 gradi ogni x minuti. All’interno della stanza è allestita una istallazione con degli oggetti, delle "sculture new-dada” o composizioni di elementi; sul fondo appeso un dipinto circolare. Ogni volta che la stanza ruota, gli oggetti assumono una nuova randomica disposizione, generando relazioni imprevedibili con gli altri oggetti nella stanza, modificando la relazione fra di essi e trasformando il corpus opere esposto. Per ogni rotazione viene riseguita una performance rituale all’interno della nuova disposizione per celebrare il nuovo equilibrio e il nuovo inizio.